Chi sono

Mi occupo professionalmente di conflitti da quando ho cominciato a fare l’avvocato (e fin qui nulla di diverso da quello che fanno tutti i miei colleghi), e di mediazione dalla metà degli anni ’90. Oggi questa ‘seconda’ passione prende buona parte del mio tempo.

Ricordo di aver letto all’epoca, in un qualche libro, di nuove tecniche A.D.R., mi sono incuriosito e così ho preso un biglietto per Londra per vedere come funzionavano le cose presso uno dei primi centri operanti in Europa, il CEDR all’epoca in Gresham Street.

Nell’ottobre 1995 ho partecipato al primo corso base CEDR in tecniche di mediazione a Latimer Mews nel Buckinghamshire e convintomi della bontà della cosa ho deciso di importare quel tipo di mediazione in Italia, dove era praticamente sconosciuta. Ho così pensato a creare un centro ADR con un nome “Curia Mercatorum”, ispiratomi dalle letture del tempo della tesi di laurea. Grazie alla collaborazione con l’amico prof. Fabio Bortolotti di Torino ed i mezzi messi a disposizione dalla Camera di Commercio di Treviso, Curia Mercatorum ha in effetti visto la luce qualche mese dopo e per anni è stato uno dei pochi riferimenti nel panorama italiano per servizi di innovativi mediazione e arbitrato rapido.

Mi sono accreditato come mediatore CEDR nel 1996 (prima Summer School, tenuta ad Edinburgo) ed ho quindi adottato il robusto approccio problem-solving tipico della scuola inglese.

Nel frattempo ho iniziato una consistente attività come docente in teoria e tecniche di mediazione, per Curia come per altri enti che nel frattempo iniziavano, soprattutto nel circuito camerale, a sviluppare la mediazione. Nel 2000 sono stato chiamato a far parte del corpo docente CEDR dove ho lavorato sino al 2007, unico italiano e unico mediatore proveniente da un paese non di common law.

Negli anni, mi sono allontanato dall’originaria impostazione, essendomi convinto che l’approccio trasformativo della scuola di Bush e Folger sia il più rispettoso e produttivo per le parti ed i loro consulenti.P1030464

Oggi è questo l’approccio che adotto, soprattutto a Quadra, l’organismo che ho animato quando ho lasciato Curia perchè dissentivo dal piglio burocratico che aveva preso dopo un cambio al vertice nel 2000.

Sono stato il primo mediatore italiano (e credo anche europeo) accreditato come “trasformativo” dall’ISCT – Institute for the Study of Conflict Transformation. Opero su incarico di centri ma anche su referral diretto di clienti, soprattutto in relazione a conflitti fra parti di Paesi diversi. Mi occupo di conflitti commerciali, ma anche civili, familiari, e di altro genere, visto che, in fondo, il conflitto ha sempre dinamiche simili, indipendentemente dal contesto.

Continuo pure ad insegnare e sono responsabile scientifico di alcuni centri, Quadra in particolare, che ho orientato verso la diffusione dell’approccio trasformativo.

Curo la pagina Client-centered mediation / La mediazione al solo servizio del cliente su LinkedIn.

Da mediatore, che tipo di servizio i clienti (le parti) possono aspettarsi da me?

Prima di tutto, va considerato che ovviamente agisco nell’interesse di tutte le parti coinvolte, senza preferirne una all’altra, né avendo interessi miei nell’esito della mediazione. È la caratteristica – richiesta peraltro per legge – dell’indipendenza e della neutralità. Naturalmente posso aver anche conosciuto in passato una delle parti; in tal caso lo dichiaro in anticipo e se la cosa dà fastidio ad un’altra parte, mi faccio da parte.

Il testo base per l’approccio trasformativo

Da mediatore trasformativo, la mia azione in mediazione è volta essenzialmente a supportare le parti nella loro ricerca di soluzioni utili, che possano essere, liberamente e con cognizione di causa, scelte. Non impongo nulla, ovviamente. Se vi è una caratteristica peculiare della mediazione rispetto ad altri sistemi di gestione delle liti, è proprio il fatto di offrire agli interessati un contesto in cui la loro capacità di autodeterminazione deve essere massima (se uno desidera avere una sentenza o un parere illuminato, è meglio si rivolga rispettivamente a giudici o arbitri o ad esperti).

Parto anche dal presuposto che i clienti (con i loro avvocati e consulenti) conoscono ovviamente molto meglio di me la situazione in cui si trovano e sono benissimo in grado di scegliere – se adeguatamente da me aiutati –  quali sono le soluzioni migliori per loro. L’approccio trasformativo si differenzia, proprio in questo, da altri approcci ed in particolare da quello c.d. problem-solving in cui il mediatore – avendo come obiettivo (per il bene delle parti, ovviamente) il raggiungimento di un accordo – favorisce spesso, in modo più o meno manipolativo, la soluzione che ha in mente o spinge allo spasimo affinché le cose si chiudano comque con un’intesa. La mia visione è diversa: considero di aver reso un contributo utile, non tanto se alla fine della mediazione viene raggiunto un qualsiasi accordo, ma se le parti sono state efficacemente supportate nel valutare lucidamente la situazione se e come possa essere raggiunto un accordo (è quel che in gergo viene indicato come empowerment). Pare differenza da poco; in realtà informa l’intera azione del mediatore, gli interventi che pone in essere ed il rapporto con i clienti.

Quanto dura e come si struttura il mio intervento? Difficile dirlo a priori. Dipende dai clienti e da cosa necessitano. Solitamente si tratta di incontri di un paio d’ore ciascuno. Spesso ne bastano uno o due, talora anche cinque o sei, sempre fissati di comune accordo.

Quando finisce il mio intervento? Anche qui, sono i clienti a deciderlo. In altri termini si potrebbe dire quando non han più bisogno di me, come terzo neutrale, e ritengono di poter proseguire da soli. Spesso l’esito di una mediazione si concretizza in un’intesa che vale a superare la situazione conflittuale iniziale, altre volte si prende atto che conviene cercare una decisione vincolante (come detto sopra, da parte diun giudice o un arbitro), altre ancora che conviene lasciar le cose come sono, … L’esperita mediazione si rivela, comunque, di regola utile,  per il supporto ricevuto sia in termini di propria consapevolezza, che per una modificata visione dell’avversario, con il quale si è potuto parlare e confrontarsi. Spesso emergono dalla conversazione avuta in mediazione particolari che lo mettono in una luce diversa, più positiva. È il fenomeno che va sotto il nome di recognition, riconoscimento e laddove si verifica ciò è naturalmente un importante presupposto per il miglioramento dei futuri rapporti tra le parti e, magari, per il consolidamento di intese solo abbozzate in sede di mediazione.

La maggior parte dei casi che ho affrontato sono di natura commerciale (in particolare rapporti di affari fra imprese). Recentemente mi sono capitati soprattutto questioni ereditarie o di rapporti interni alla famiglia. Lista casi: List of mediations C Mosca In realtà, una ripartizione per categoria lascia il tempo che trova. Il mediatore interviene nel CONFLITTO e questo ha dinamiche sue proprie, relativamente indipendenti dalla natura del dissidio. Quindi, l’esperienza mi porta a dire che conta ben poco si litighi per una fornitura non riuscita o con dei vicini fastidiosi o per una eredità. Ciò che conta, per chi lo vive, è lo stato d’ansia che ogni conflitto provoca e la percezione che non vi siano soluzioni cui pervenire da soli. Su tali fattori interviene il mediatore.

Da qualche tempo sto esplorando settori conflittuali non strettamente legati alla mediazione, in particolare quello relativo al negoziato. Al riguardo sto lavorando ad un progetto denominato ‘Empowering Negotiation’ dove si sperimenta la tenuta della teoria trasformativa alle ipotesi di confronto diretto (vale a dire non intermediate da un terzo).