TEAM BUILDING
“Team building” significa “costruzione (in senso ampio) di un gruppo” e generalmente consiste in un intervento, articolato in una o più sessioni, volto a migliorare il “funzionamento” di un gruppo di persone – sia tutto il profilo della capacità del gruppo stesso di raggiungere obiettivi dati con efficienza, sia sotto quello relativo ai rapporti interpersonali fra i componenti del gruppo stesso. Solitamente tale intervento è commissionato da un’organizzazione ad un consulente esterno nell’ambito di processi di valorizzazione delle proprie risorse umane. Si fa ricorso al TB soprattutto con riferimento a gruppi di lavoro appena formati o gruppi che presentano problematiche.
Nonostante “team building” sia un termine largamente usato e un intervento di TB paia univoco negli obiettivi da raggiungere (e nei modi di farlo), la realtà si presenta più complessa.
Sono stati identificati almeno 3 grandi diversi approcci al TB ed è opportuno che la committenza possa apprezzarne le differenze, prima di decidere a chi affidare un incarico. Li indico qui sotto per sommi capi, cercando di evidenziare pro e contro.
a) TB basato su esperienze ‘sfidanti’.
È la modalità forse più conosciuta e praticata. I membri del team sono sono richiesti di impegnarsi, in un contesto estraneo a quello usuale, in attività che richiedono spirito e capacità di cooperazione e coordinamento. A volte si tratta di vere e proprie sfide fisiche in un contesto decisamente esterno all’organizzazione (ad es. un ‘uscita in barca, o un percorso accidentato in natura), altre volte, la sfida è principalmente intellettuale e volta alla risoluzione di problematiche specifiche con pochi elementi utili a disposizione. Il lavoro del consulente, in tale approccio, è quello di affiancare i partecipanti nel corso della prova e poi condurre una sessione finale di debriefing in cui analizzare quello che è emerso in termini di collaborazione, dando indicazioni che possano poi tornare utili per il ‘normale’ lavoro.
Se tale approccio presenta innegabili attrattive connesse al sua struttura essenzialmente di ‘gioco’, la contropartita è che di regola non coinvolge tutti allo stesso modo. La propensione al cimento varia infatti da persona a persona e spesso alcuni trovano frustrante ‘non riuscire’ (specie se l’impegno è fisico). Anche la lezione che uno dovrebbe portarsi a casa, spesso non si concretizza, considerato che molti vivono l’esperienza come, appunto, un gioco, con scarse attinenza poi ai veri problemi di ogni giorno al lavoro.
b) TB basato sull’analisi caratteriale
Tutt’altro approccio è quello volto a esplorare le differenze caratteriali dei singoli partecipanti e del loro stile di comunicazione. L’assunto, qui, è che conoscendosi meglio, si possa dal giorno dopo, ‘funzionare’ meglio, come membri del gruppo, evitando fraintendimenti, incomprensioni e frustrazioni. Sono stati elaborati vari schemi di riferimento per catalogare differenti tipi di persona. Uno dei più diffusi è quello Myers-Briggs, di cui forse il lettore avrà sentito parlare.
Il principale vantaggio di questo approccio al TB è senz’altro quello di creare, in ogni membro del gruppo, maggiore consapevolezza sull’importanza di saper comunicare con gli altri, un’autoanalisi su se stessi e uno sguardo più comprensivo su come comunicano gli altri. Lo svantaggio è che la catalogazione in tipi rischia di imprigionare ciascun partecipante in una statica finzione, che per di più non fornisce gli strumenti per interagire con gli altri partecipanti (pure intrappolati in una caratterizzazione). Al netto della fondatezza o meno di queste figure ideali di persona in cui ogni partecipante dovrebbe ritrovarsi, la realtà dei rapporti, insomma, è ben più complessa e dinamica.
c) TB basato sulla facilitazione/trasformazione delle relazioni
In questo approccio, il TB si basa essenzialmente sul miglioramento dell’interazione fra componenti del gruppo. L’assunto è che l’efficienza del gruppo stesso si basi sulla qualità di tale interazione. Il lavoro del consulente in questo caso consiste essenzialmente nel facilitare una discussione sui temi scelti dagli stessi partecipanti con l’obiettivo che alla fine il confronto risulti costruttivo per tutti.
Il principale vantaggio di tale approccio consiste nel fatto di supportare il processo di presa di consapevolezza, da parte di ognuno, quanto a problematiche di reale interesse, confrontandosi con le visioni degli altri. Il lavoro viene svolto sia in plenaria (vale a dire con la partecipazione di tutti i partecipanti) ma anche in sottogruppi, specie se il numero degli stessi è elevato o le questioni da trattare sono diverse. Le controindicazioni sono insite: toccando questioni che direttamente lo investono, un partecipante potrebbe una reazione di chiusura, in particolare se il facilitatore impone la trattazione di alcuni temi o il suo coinvolgimento, invece di lasciargli libertà di scelta. Inoltre, non essendoci un programma prefissato, la discussione potrebbe facilmente esigere interventi successivi del facilitatore oltre il tempo canonico e soprattutto potrebbe estendersi a temi e problematiche nuove.
Che approccio privilegiare?
Nella mia esperienza di facilitatore – che corre parallela a quella di mediatore di conflitti (essenzialmente interpersonali) – ho notato come sia importante discutere con la committenza gli obiettivi di ogni intervento di TB, avendo presente le caratteristiche sopra tratteggiate dei diversi approcci.
Come visto, non è che esista un approccio migliore in assoluto di altri. Peraltro, debbo dire che la filosofia di intervento che ho riscontrato come spesso più proficua è la terza. Sarà perchè è più nelle mie corde delle altre, grazie appunto alla pratica che svolgo come mediatore trasformativo. Vale la pena quindi spendere qualche parola in più su questo terzo approccio.
Il mio amico Joe Folger, uno dei padri della mediazione trasformativa ha così riassunto – in A Transformative Orientation to team Development Work (2010) – obiettivi, presupposti, e modi di implementazione di un TB trasformativo:
Obiettivi: nel TB trasformativo, l’obiettivo del facilitatore è quello di “identificare e supportare la discussione sui temi che i partecipanti del gruppo desiderano avere al fine di aumentare l’efficienza del gruppo, migliorare le relazioni / facilitare la comunicazione fra i componenti lo stesso.” In questo, un intervento di TB non si differenza da quello tipico del mediatore trasformativo (che ha come principale obiettivo quello di permettere agli interessati di aver un confronto costruttivo che evidentemente prima non era stato possibile realizzare).
Presupposti: il presupposto è che il gruppo necessiti l’intervento del facilitatore, perchè vi sono delle criticità nell’interazione fra i suoi componenti. E questo attiene soprattutto all’aspetto comunicativo. Naturalmente ciò ha un senso solo laddove i componenti del gruppo abbiano relazioni di interdipendenza e vi sino appunto criticità relazionali su cui intervenire. In terzo luogo – avverte Folger – occorre che i partecipanti vogliano prender parte al team building. Senza un genuino commitment delle persone considerate essenziali alla discussione (che può legittimamente non esserci da chi non se la sente, per varie ragioni), un intervento del genere non ha ragione di essere. Infine, ogni intervento richiede i suoi tempi, in ragione anche del numero dei partecipanti e delle questioni da trattare (solitamente prende un paio di giornate piene, magari intervallate da qualche settimana).
Modalità: Il facilitatore, in linea con l’idea di supportare la conversazione, piuttosto che imporla, lavora essenzialmente sulle dinamiche di empowerment e recognition, tipiche della mediazione trasformativa (la pratica peraltro deve adattarsi al maggior numero di persone coinvolte). Il processo di empowerment consiste, sostanzialmente, in un percorso finalizzato ad una maggiore consapevolezza delle questioni in gioco e dei modi di affrontarle; quello di recognition, nello sviluppo di una maggiore attenzione e comprensione agli altri. IL tutto considerando le peculiarità dell’ambiente lavorativo in cui si interviene.
Tempi e modi di intervento sono comunque discussi con la committenza di volta in volta, ma solitamente comprendono –
- una fase di identificazione degli argomenti da toccare, seguita da…
- una o più sessioni di discussione in plenaria o sottogruppi, per concludersi con…
- un riassunto dei risultati raggiunti e delle prospettive delineatesi, con…
- eventuale attività di follow-up.